Il sistema del registro tumori, in Calabria, copre il 90% del territorio regionale e quindi dei cittadini calabresi. Il dato è emerso nel corso della conferenza stampa di presentazione delle stime per l’anno che si è appena concluso, contenute all’interno del volume “I numeri del cancro in Italia 2017”, curato dall’Associazione italiana oncologia medica e dall’Associazione italiana registri tumori. A diffonderle, Vito Barbieri, coordinatore Aiom Calabria e dirigente medico presso l’Oncologia dell’Azienda ospedaliera-universitaria “Mater Domini” di Catanzaro, Sante Aldo Minerba, vicepresidente Airtum, e Massimo Scura, commissario ad acta per il piano di rientro sanitario. A moderare l’incontro, il presidente dell’ordine dei giornalisti, Giuseppe Soluri. In platea, oltre ai docenti dell’Ateneo “Magna Graecia” che si occupano di ricerca oncologica, Pierfrancesco Tassone e Pierosandro Tagliaferri, anche il consigliere regionale Arturo Bova.
Nel 2017 in Calabria sono stati stimati 10.450 nuovi casi di tumore (5.650 fra gli uomini e 4.800 fra le donne). I 5 tumori più frequenti nella regione sono quelli del colon retto (1.600), seno (1.300), polmone (1.100), prostata (1.000) e stomaco (350). Tra le altre patologie, 300 sono i casi stimati per i melanomi (150 uomini, 150 donne) e 100 quelli di tumore alla cervice.
«L’incidenza – ha spiegato Barbieri – è leggermente inferiore rispetto al resto del Paese. Inoltre, è aumentata la sopravvivenza post-operatoria: oggi abbiamo a disposizione armi efficaci per combattere il cancro, come l’immuno-oncologia e le terapie target che si aggiungono a chemioterapia, chirurgia e radioterapia. Tutto questo, unito alle campagne di prevenzione promosse con forza anche da Aiom, si traduce nel costante incremento dei cittadini vivi dopo la diagnosi, che nella nostra regione sono più di 80.290. Queste persone presentano molteplici necessità, non solo di carattere clinico, a cui il sistema sanitario deve saper rispondere».
Lo stato di salute del sistema sanitario regionale è quindi finito al centro della discussione. A partire dalla situazione in cui versa la rete oncologica regionale tracciata dal decreto commissariale numero 2 del 2015: «Una delle maledizioni della Calabria è quella dell’ultimo posto – ha detto Massimo Scura -: siamo ultimi in una immensa gamma di ambiti, quando sono arrivato nel 2015 eravamo ultimi anche per il registro tumori. In Calabria, oggi, siamo al 90% del territorio coperto, ma nel 2015 eravamo quasi sotto zero. Così abbiamo cominciato a lavorare sulla diagnostica e sono state inaugurate le Pet di Reggio Calabria e Cosenza, oltre a quella già operativa di Catanzaro. È fondamentale partire proprio dalla diagnostica e dalle campagne di screening perché significa che ci siano buone possibilità che dopo la diagnosi, anche l’operazione e il follow-up siano fatte in Calabria, riducendo la piaga dell’emigrazione sanitaria».
Eppure, come lo stesso Scura ha sottolineato, ci sono delle situazioni che devono essere affrontate e risolte. Come ad esempio quella degli ospedali riuniti di Reggio Calabria, dove su 400 procedure di screening e follow-up sul cancro al seno effettuate, gli interventi chirurgici effettuati sono solo 60. La differenza è tutta emigrazione passiva verso la Lombardia.
Implementare la qualità dell’offerta chirurgica è quindi il prossimo passo, secondo Scura: «C’è un’infinità di chirurghi calabresi bravissimi in tutta Italia: ho detto ai direttori generali delle Aziende ospedaliere di andare a prenderli e portarli qui perché solo così si possono costruire strutture di cui i cittadini si fidano e creare professionalità e competenze di alto profilo nel tempo. Sono convinto che dobbiamo riportare a casa i calabresi bravi e competenti».
Perché ciò avvenga, Scura ha annunciato che nei prossimi giorni sarà pubblicato un nuovo decreto commissariale per l’assunzione di circa sessanta primari oltre a trecento medici: «Se però – ha ammonito Scura – nei ruoli apicali sarà riconfermato il 100% dei facenti funzione che finora ha retto le strutture, il comparto non crescerà mai. Ci sono facenti funzione bravissimi, certo, ma non si sono mai confrontati con gli altri chirurghi calabresi in giro per l’Italia».
Ancora in tema di chirurgia, il commissario ad acta ha aggiunto: «È il nostro punto debole. Anche se adesso stanno partendo le breast unit (unità per interventi al seno, ndr) a Catanzaro e a Cosenza, dove i numeri cominciano ad essere interessanti, ancora siamo fermi a Reggio Calabria, dove manca il raccordo con il territorio a causa della mancata partenza delle campagne di screening. A causa del commissariamento, la Calabria ha perso mezza generazione di medici che è andata via da questa regione e lavora altrove. Ora dobbiamo far sì che ogni ospedale hub abbia un’unità di chirurgia toracica, per questo nel decreto ho inteso spingere sull’assunzione di figure utili a questo disegno».
«Al Sud ci si ammala di meno rispetto al Nord – ha detto Sante Aldo Minerba –. Alla base di queste differenze vi sono fattori protettivi che ancora persistono nel Meridione, ma anche una minore esposizione a fattori cancerogeni come l’abitudine al fumo o l’inquinamento ambientale. Per quanto riguarda la sopravvivenza, sebbene con differenze meno elevate rispetto agli anni precedenti, si mantiene ancora un gradiente Nord-Sud, a sfavore delle aree meridionali, sia per il totale dei tumori che per alcune delle sedi principali. Fra i fattori che determinano in Calabria percentuali di sopravvivenza inferiori rispetto alla media nazionale vi è sicuramente la scarsa adesione ai programmi di screening organizzati».
Le campagne di screening sono un tema in chiaroscuro. Da un lato, le assunzioni finalizzate allo screening, hanno visto gli assunti dirottati ad altre mansioni. Dall’altro, punte di eccellenza alzano il livello di tutta la regione.
Per il tumore al colon-retto, la media regionale è del 20%, frutto di un pessimo 0% di Reggio Calabria, dell’8% di Cosenza, del 76% di Crotone, del 35% di Catanzaro e del 55% di Vibo.
Per il tumore alla cervice (lo screening con il Pap-test), la media del 53% è data dal 6% di Cosenza, dal 45% di Reggio Calabria, dal 96% di Crotone, dal 98% di Vibo Valentia e dal 118% di Catanzaro (hanno effettuato il test non solo le donne previste per il 2017, ma sono state chiamate anche quelle dell’anno precedente che non avevano effettuato lo screening).
Per il cancro al seno, la mammografia preventiva è stata effettuata in medi dal 37% delle donne calabresi: il 23% a Cosenza, il 15% a Reggio Calabria, il 59% a Crotone, il 47% a Catanzaro e il 134% a Vibo Valentia.
Dai dati regionali non è emersa alcuna particolare discrepanza tra la Calabria e il resto del Paese per quanto riguarda i fattori di rischio. L’incidenza del tumore del colon-retto, come ha spiegato Vito Barbieri, è sostenuta dalla dieta che in Calabria è spesso ricca di grassi, sale e carni rosse: «È importante interpretare i dati epidemiologici – ha spiegato Barbieri – per impostare programmi di prevenzione: si deve fare di più per ridurre l’impatto di questa malattia perché oltre il 40% delle diagnosi è evitabile seguendo uno stile di vita sano (no al fumo, attività fisica costante e dieta corretta). È scientificamente provato che il cancro è la patologia cronica che risente più fortemente delle misure di prevenzione». I calabresi però sembrano ignorare questi consigli (PASSI 2013-2016): il 45,9% è sedentario, il 34% è in sovrappeso e l’11,2% obeso, percentuali superiori rispetto alla media nazionale (rispettivamente pari al 32,5%, 31,7% e 10,5%). È invece inferiore il tasso dei fumatori, pari al 24,7% (26,4% in Italia).
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